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11 Settembre 2025 - 18:08
LADISPOLI – Una lettera anonima potrebbe far riaprire le indagini sulla scomparsa di Elena Vergari di cui si sono perse le tracce il 5 giugno del 2005. Le speranza dei familiari di conoscere la verità sono affidata a questa busta recapitata alla trasmissione “Chi l’ha visto?” con tanto di mappatura dettagliata in un luogo ben preciso a 700 metri di distanza dalla casa della donna, all’epoca 47enne, in via Cairoli con tanto di fognature e tunnel di cemento. In base appunto a questa lettera, il corpo di Elena sarebbe sepolto sotto a un terreno adiacente la ferrovia in prossimità del fosso Vaccina.
Dell’esistenza di questa missiva ne erano ovviamente a conoscenza i carabinieri della stazione locale quando venne recapitata nel 2017. Proprio in quell’anno vennero archiviate le indagini nei confronti del marito di lei, ritenuto il primo sospettato dagli investigatori. E quindi, di fatto, non se n’è saputo più nulla. Fino a quando Paolo Vergari, il fratello di Elena, in estate ha fatto accesso agli atti acquisendo la lettera. Dai primi accertamenti di alcuni anni fa, emerse che venne scritta da qualcuno che indossava dei guanti perché non sarebbero emerse delle impronte.
IL GIALLO
È stata sempre una storia piena di punti oscuri. Da quanto appreso all’epoca, tornando quindi al 5 giugno di 20 anni fa, Elena sparì dopo l’ennesimo litigio con il marito. Elena sospettava che l’uomo avesse una storia con un’altra donna. Secondo la versione dell’uomo, i due avevano trascorso il weekend tra Bracciano e Valtopina e, una volta tornati in città, sarebbe sorta una nuova discussione fino a quanto la donna, sempre secondo quanto riportato nella denuncia presentata ai carabinieri, si sarebbe allontanata salendo su una Mercedes con targa straniera. Ma in seguito l’uomo avrebbe poi fornito altre due versioni diverse dei fatti. Cinque giorni dopo, altra situazione non approfondita nei dettagli, sul cellulare del figlio arrivò un messaggio rassicurante che risultava inviato da una cabina telefonica e non dal suo telefonino: «Sto bene, non mi cercate». Un elemento particolarmente insolito anche perché la donna col figlio aveva un ottimo rapporto e avrebbe potuto anche chiamarlo direttamente. Insomma, con la lettera è difficile pensare all’ipotesi della fuga volontaria di Elena Vergari anche se la magistratura competente di Civitavecchia, all’epoca, non autorizzò gli scavi per capire veramente se sotto quel terreno ci fosse davvero il corpo senza vita della donna. A distanza di anni però la Procura potrebbe cambiare idea.
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